Ci condizioniamo ad osservare un’opera conosciuta?

Quante volte siamo passati al solito quadro che avete a casa, davanti ad un oggetto, addirittura allo stesso Monumento artistico della nostra città, e non ci siamo accorti di un particolare?
Ci soffermiamo, un giorno, assorti nei nostri pensieri davanti a quell’opera e rimaniamo sorpresi nell’osservare un particolare mai visto.
Cos’è accaduto?
Non c’era? Nulla di questo genere!
Semplicemente la nostra memoria visiva ebbe notato quel particolare, ma la nostra coscienza no, in quel momento non risultava interessante, non avemmo mai esperito nulla che ci avesse fatto riconoscere quel tratto.
Cosa intendi dire? Ci sto che fui in quel momento distratto e la mia memoria non ebbe registrato quel particolare tratto o colore. Ma mi vuoi far credere che non mi avvidi proprio di quella cosa? In un certo senso si. Il nostro cervello non immagazzina, come un computer, una intera immagine e ne va a fare un confronto. Non è così banale.
Le cellule del nostro cervello uniscono le singole percezioni che gli arrivano dai nervi visivi, li confrontano con quelle già esperite e se non ne hanno traccia alcuna, o procedono per similitudine di sensazioni ovvero la scartano. Quando i singoli segnali giungono alle aree associative superiori alcuni piccolissimi particolari della struttura intera non vengono riconosciuti e quindi spariscono dalla coscienza e non vengono nemmeno memorizzati, per cui difficile la riproduzione.
Vi sembra ancora strano? Vi faccio un ulteriore esempio.
Alcune frequenze di colore il nostro occhio non può percepirle senza adeguate strumentazioni, non solo neanche alcune frequenze elettromagnetiche sono a noi sconosciute (classico esempio, gli animali percepiscono una catastrofe atmosferica in anticipo di alcuni minuti), alcuni animali possono percepire frequenze di colori a noi invisibili.
Il nostro cervello non può esperire quel colore, quella forma, può non riconoscere quella prospettiva (pensiamo ad un bimbo di 1 anno che non sa riconoscere una prospettiva in un disegno) e, quindi, non registra. Se una forma, in tedesco Gestalt, non viene riconosciuta non è percepita, non è vista. I quadri con figure nascoste, che si usano anche nei test cognitivi, ne sono un esempio evidente.
Ma questo cosa ha a che fare con l’osservazione di un’opera d’arte? Semplice. Il “condizionamento operante”! Precedenti esperienze visive, informazioni già acquisite su quella particolare opera d’arte, possono strutturare abitudini osservative orientando l’attenzione e l’osservazione dell’oggetto limitandone l’acquisizione di nuovi elementi e quindi di esperienze. Il libero arbitrio deve sempre essere ritenuto preminente nell’atteggiamento dell’osservare. Il libero dispiegarsi dei sentimenti e delle emozioni suscitate genera nuovi campi di indagine da cui approfondire la conoscenza di quell’oggetto d’arte.
​Con le restrizioni del condizionamento “appiccichiamo” una etichetta, più o meno forte, all’opera e non ne riusciamo a ricavare l’intera pienezza espressiva che invece l’autore voleva suscitare all’osservatore durante la sua osservazione spaziale. E’ ciò che avviene anche quando conosciamo una persona nuova, lasciamo sopra di essa l’etichetta rappresentativa che condizionerà bene o male, le successive comunicazioni, sino a quando non interverranno episodi che scuoteranno e metteranno in crisi quelle prime impressioni etichettanti.
La medesima cosa può accadere per un quadro, un monumento, un’oggetto d’arte ecc.
Nel prossimo articolo analizzeremo come le emozioni, i sentimenti, le paure possono pilotare la libera visione dell’arte. E di come possano variare le prospettive geometriche degli elementi.

Buona vita!

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